Provenienza:
Collezione privata, Milano
Opera registrata presso l'Archivio Bonalumi, a cura di Fabrizio Bonalumi, Milano, con il N. 68-030, come da certificato
Si ringrazia Valerie Caimi, dell’Archivio Bonalumi, Milano, per aver confermato per email l'autenticità dell'opera e per l'aiuto nella compilazione di questa scheda
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Esponente di spicco già negli anni Sessanta e Settanta di una concezione dell’arte come esperienza tattile fra pittura e scultura, Agostino Bonalumi (Vimercate 1935 - Desio, 2013) anima la scena artistica italiana indirizzando la sua ricerca verso il superamento dell’Informale. I lavori e le sperimentazioni degli esordi sfociano, a partire dagli anni Sessanta, in un tipo di linguaggio in grado di coinvolgere la terza dimensione attraverso le estroflessioni della tela, che costituiscono la cifra stilistica più conosciuta dell’artista.
Proprio di questi anni, i più importanti per la produzione artistica di Bonalumi, è il cirè estroflesso del 1968 intitolato “Rosso” qui proposto. L’opera, perfetta sintesi tra pittura e scultura, presenta due perfette "pance" simmetriche ai lati della tela. Queste innovano in maniera eccellente la produzione artistica dell'epoca, attivando una nuova e inedita relazione tra l’opera, le sue superfici e lo spazio accentuando la concezione del quadro come oggetto fisico e perfetta fusione tra pittura e scultura, che il critico Gillo Dorfles definiva “Pitture-Oggetto”. Un vibrante gioco di chiaroscuro ottenuto senza modificare il colore e modulando invece la struttura su cui è disteso.
Per dirlo con le parole stesse dell’artista rilasciate in occasione di un’intervista: "Introflessione ed estroflessione sono termini inevitabili nella descrizione della mia opera, se stanno ad indicare l’azione di forze contrarie agenti sulla superficie, portandola a tensione. Qualsiasi opera plasmata dalla creta o modellata dal marmo può essere strutturata in modo da presentare sporgenze e rientranze, ma nel caso l’apparenza (la qualità, la natura della forma, dunque l’immagine) non offrirà mai alla percezione un valore di tensione; il rientrare della superficie non suggerisce all’intuizione uno spazio all’interno dell’opera; è percorso piuttosto che movimento che dà complessità all’apparenza: l’occhio percorre il guscio o superficie o forma”.